carboidrati

L’insensata paura dei carboidrati

È idea comune che i carboidrati facciano ingrassare, da qui nasce la cosiddetta Carboressia, ovvero la paura verso i cibi contenenti carboidrati.

Limitare l’assunzione di carboidrati, soprattutto quelli raffinati o zuccheri semplici, può far bene. A patto, però, di non finire nella completa eliminazione dei carboidrati dalla propria alimentazione con la convinzione di raggiungere una forma fisica migliore.

È da tener presente che il problema non è né il pane né pasta in sé, ma di quanto ne assumiamo e soprattutto di come viene condita la nostra porzione di carboidrati. 

La porzione ideale da assumere, ovviamente varia da persona a persona e dipende sostanzialmente dallo stile di vita e dall’attività fisica svolta.

Secondo i Livelli di Assunzione di Riferimento di Nutrienti ed energia per la popolazione italiana (LARN) i carboidrati dovrebbero costituire tra il 45% e il 60% delle calorie totali della giornata.

Cosa accade al nostro corpo se lo priviamo dei carboidrati?

Si ha sicuramente una perdita di peso, ma sono soprattutto i liquidi quelli che vengono eliminati e non la massa grassa.

I carboidrati sono immagazzinati nel corpo sottoforma di glicogeno (a livello del muscolo e del fegato), ogni grammo accumulato lega con sé circa 2,7 grammi di acqua. Ecco perché quando vengono eliminati i carboidrati dalla dieta vediamo scendere il peso sulla bilancia. Si istaurano meccanismi all’interno del nostro organismo che portano a scindere il glicogeno, liberando così il contenuto di acqua.

Mangiare i carboidrati a cena fa ingrassare?

Assolutamente falso! Si tratta di una errata convinzione: non conta in che momento della giornata si mangino carboidrati, ma piuttosto quanti se ne introducono e di quante calorie totali si compone la nostra alimentazione giornaliera.

Soggetti con disturbi del sonno potrebbero giovare da un’ assunzione serale di carboidrati, in quanto stimolano la produzione di serotonina, precursore della melatonina che regola la qualità e durata del sonno.

Inoltre l’introduzione di carboidrati nel pasto serale, sembrerebbero ridurre la produzione di cortisolo, ormone dello stress. Quest’ultimo incide anche sul sonno.

Altro discorso per gli sportivi, che dopo uno sforzo, devono ricaricare le scorte di glicogeno perse. Uno scarso apporto determina una compromissione del recupero muscolare, con relativa diminuzione della performance.

Ricordate: che un piatto di pasta/riso a pranzo ha le stesse calorie se assunto a cena. Il contenuto calorico rimane lo stesso per le tutte le ore del giorno.

Ma l’assunzione di carboidrati prima di andare a dormire aumenta la probabilità di ingrassare?

La risposta è NO! Il dispendio calorico che si ha durante il sonno è pressoché uguale al costo energetico che si ha durante un’attività a basso impatto, come per esempio lavorare seduti o studiare.

Le linee guida per l’assunzione di carboidrati:

  • limitare gli zuccheri dei prodotti industriali (leggere le etichette dei prodotti confezionati, in quanto potrebbero contenere sciroppo di mais, di fruttosio, di glucosio etc.);
  • sì agli zuccheri della frutta, senza esagerare. Lasciate perdere un pranzo a base di sola frutta;
  • preferire i carboidrati complessi a quelli semplici (es. pasta, riso, cereali, legumi, verdure);
  • prediligere i prodotti integrali a quelli non integrali;
  •  Variare le fonti di carboidrati durante la settimana.

Insieme ad un pasto glucidico è bene integrare fonti di fibre e di proteine, in quanto determinanti per il senso di sazietà.

fascia addominale

Fascia addominale dimagrante: Funziona davvero?

Funziona la fascia addominale snellente? La risposta è NO.

Indossatela, arrivate al cestino e a questo punto buttatela via.

La fascia addominale non fa altro che effetto sauna, ovvero fa perdere acqua.

Probabilmente, dopo averla usata si potrà pesare meno, ma questa perdita non è dovuta alla perdita di massa grassa ma solo acqua.

  • Quanta acqua abbiamo nel nostro corpo e come viene mantenuta costante?

L’acqua corporea totale rappresenta circa il 50-70% del nostro peso corporeo.

Quasi due terzi dell’acqua corporea totale è distribuita in due compartimenti: intracellulare (facente parte della cosiddetta massa magra) ed extracellulare. A sua volta, il compartimento extracellulare, è suddiviso in intravasale (nel plasma) e interstiziale (tra le cellule).

L’acqua nel nostro organismo non è “pura”, ma è presente in soluzione con dei soluti disciolti in essa.

I principali soluti disciolti sono sodio, potassio, cloro, bicarbonato, calcio, magnesio e fosforo. La concentrazione dei vari soluti è diversa a seconda del compartimento, per esempio il sodio è maggiormente concentrato nell’ambiente extracellulare.

Il volume dei liquidi corporei e la concentrazione degli elettroliti sono finemente regolati, in modo da rimanere pressoché costanti, nonostante le ampie variazioni che possono subire dall’apporto alimentare, attività metabolica e stress ambientali. 

Da tener presente che l’equilibrio di acqua e sodio sono strettamente interdipendenti.

L’omeostasi (equilibrio) dei liquidi corporei viene mantenuta in primo luogo dai reni. Quando siamo in deficit di acqua, la concentrazione dei soluti aumenta, perché l’acqua (diluente) viene meno. I reni cominciano a riassorbirla e la diuresi viene meno, in modo da contrastare questo aumento di concentrazione e riequilibrare acqua e soluti, anche attraverso l’escrezione dei soluti (sodio).

  • Cosa succede al nostro corpo quando perdiamo acqua?

Si istaurano meccanismi di “protezione”, la perdita di acqua fa aumentare la concentrazione di soluti, i quali non saranno più diluiti, questo determina un attivazione di particolari recettori che vanno ad attivare lo stimolo della sete. Altri recettori invece, sono sensibili al volume plasmatico, l’acqua riducendosi attiva anche essi, andando a potenziare lo stimolo della sete.

Alla fine, i liquidi persi vengono reintegrati.

In conclusione: Il dimagrimento non ha niente che fare con la perdita di acqua.

Il vero dimagrimento si ha con la perdita di massa grassa. Per far questo è necessario un deficit calorico che può essere lieve o moderato a seconda del soggetto, ma fondamentale è l’attività fisica.

 

donne e ciclo

Sindrome PreMestruale

Quali ormoni entrano in gioco nella fase premestruale?

Durante il ciclo mestruale di una donna in età fertile (dalla fase mestruale alla successiva) si ha una fluttuazione dei livelli di ormoni femminili, come progesterone ed estrogeni.

Nei giorni precedenti alle mestruazioni si ha un aumento dei livelli di progesterone, con una lieve riduzione nella secrezione di estrogeni.

Questi sbalzi ormonali fisiologici agiscono sul sistema renina-angiotensina-aldosterone, con conseguente aumento dell’aldosterone. Quest’ultimo è responsabile dell’aumento del riassorbimento di sodio e dell’escrezione di potassio, con conseguente ritenzione idrica ed espansione di volume dei liquidi extracellulari. Ecco il motivo per cui aumentiamo di Peso, Non è grasso ma solo acqua temporanea dovuta a questo ormone.

Sembra entrare in gioco anche la prolattina, con azione simile all’aldosterone contribuendo così all’aumento di ritenzione.

Ciclo mestruale e sindrome premestruale

La fase mestruale è caratterizzata da cambiamenti ormonali femminili (progesterone, estrogeno), sintomi fisici (ad es. aumento di massa, ritenzione di liquidi) ed emotivi (ad es. depressione, irritabilità, letargia, ipersonnia) che si verificano con intensità diverse per ogni donna.

Quando i sintomi sono da lievi a moderati, tendono a iniziare alcuni giorni prima del flusso mestruale e hanno un impatto minore sulla vita quotidiana. Tuttavia, quando i sintomi sono gravi, spesso si verificano dall’ovulazione in poi, per una durata di circa 14 giorni. Questi cambiamenti possono caratterizzare la sindrome premestruale (SPM).

La sindrome premestruale può comparire sin dalle prime mestruazioni, o in qualsiasi momento della vita riproduttiva e una volta instauratasi tende a rimanere presente fino alla menopausa. Sebbene l’esatta prevalenza della SPM non sia conosciuta, si stima che il 75-85% delle donne con mestruazioni provi uno o più sintomi fisici e/o emozionali premestruali; di queste solo il 5-10% lamenta una sintomatologia severa condizionante un peggioramento dello stile di vita. 

La patogenesi della sindrome premestruale non è stata ancora chiarita totalmente, ma si pensa che sia una condizione multifattoriale, che coinvolga fattori ormonali, genetici, neurali, psicosociali e dietetici.

Si è visto che Carenze di magnesio, manganese, vitamine del gruppo B, vitamina E, acido linoleico ed i suoi metaboliti sono presenti in diverse donne con SPM.

Inoltre, Alcuni studi sembrano sostenere che la supplementazione di Calcio e Vitamina D in questa fase attenuino sensibilmente i disturbi legati alla sindrome.

Sintomatologia

La sintomatologia è varia e soggettiva, sono stati identificati circa 150 sintomi. Tutti riconducibili ad un comune denominatore: l’edema e la vasodilatazione. 

Uno studio ha evidenziato che le concentrazioni di aldosterone (ormone responsabile della ritenzione idrica) sono più elevate in donne con sindrome premestruale rispetto a chi non ne soffre, in particolare durante la fase luteinica del ciclo mestruale (dopo l’ovulazione).

I sintomi più comuni vengono raggruppati in 3 categorie principali e si parla di triade costituita da:

  • manifestazioni mammarie: dolore e aumento del volume del seno.
  • segni addomino-pelvici: gonfiore e di pesantezza pelvica.
  • turbe psichiche:alterazioni del sonno, ansia, riduzione della libido, modificazioni del carattere, depressione, emicrania (turbe minori più frequenti).

Le variazioni dell’umore sembrano essere associate ad una produzione ridotta di serotonina, dovuta all’esaurimento dell’amminoacido precursore, il triptofano. Ecco perché durante questa fase siamo alla ricerca continua di cibi gratificati (quelli che ci rendono felici), tra cui dolci e cioccolata.

Le donne maggiormente soggette a queste “voglie” sono quelle che fanno diete troppo restrittive o povere di carboidrati protratte per lungo tempo.

In quali alimenti è presente il triptofano?

Il triptofano è maggiormente presente in alcuni alimenti, tra cui:

  • Baccalà/ stoccafisso
  • Soia
  • Semi di zucca
  • Lievito
  • Prezzemolo
  • Latte e derivati
  • Formaggi
  • Farro
  • Fagioli
  • Uova
  • Mandorle

È stato ipotizzato che il forte desiderio di carboidrati, caratteristico delle donne affette da SPM, possa consistere in un tentativo di automedicazione volto a compensare il deficit di serotonina.

Questo perché i carboidrati complessi (come ad esempio pasta, cereali, pane, legumi) veicolano maggiormente il triptofano, precursore della serotonina, verso il cervello, con un conseguente incremento della sintesi dell’ormone della felicità.

Quindi, Nella fase premestruale è importante assumere ad ogni pasto alimenti ricchi di triptofano e una porzione di carboidrati complessi.

uova

Uova e Colesterolo

E’ vero che le uova fanno aumentare il colesterolo?

È concezione comune che le uova aumentino il colesterolo plasmatico, aumentando così il rischio cardiovascolare. Questo perché vecchi studi (degli anni ’70) da parte dell’American Heart Association (AHA) avevo trovato un’associazione positiva tra consumo di uova e rischio infarto o ictus.

Tuttavia, l’uovo è stato rivalutato in molti studi recenti. L’uovo non è un prodotto da evitare, anche in caso di diabete o di fattori di rischio cardiovascolare, dato che rappresentano un’ottima fonte di nutrienti.

Composizione e proprietà nutrizionali dell’uovo

Un uovo di gallina medio pesa 60 gr, di cui 35 gr è costituito da albume e il restante dal tuorlo. È composto da: 

  • acqua 76,1%
  • proteine 12,6%,
  • grassi 9,5%
  • minerali 1,1%
  • carboidrati 0,7%

Le proteine si concentrano maggiormente nell’albume (ecco perchè generalmente gli sportivi fanno uso di albume). Le proteine presenti nell’uovo sono estremamente ricche di amminoacidi essenziali, e sono ad elevato valore biologico, proprietà che descrive l’efficienza dell’organismo ad utilizzare le proteine presenti nell’alimento. Per convenzione si prende in considerazione che il valore biologico delle proteine dell’uovo sia uguale a 100, il più alto valore biologico tra tutti gli altri alimenti (ad eccezione delle proteine del siero del latte).

Tra le proteine presenti nell’albume vi sono alcune con attività enzimatica e con proprietà antinutrienti, tra queste l’avidina, in grado di legare le vitamine del gruppo B, in particolare la biotina (B8), riducendone l’assorbimento. La cottura o la pastorizzazione, denaturano le proteine dell’uovo, eliminando così il rischio di malassorbimento legato al consumo di albume crudo.

Nel tuorlo sono presenti le restante proteine, carboidrati, sali minerali, vitamine (A,D e del gruppo B) e Lipidi. 

I grassi presenti nel tuorlo sono sia saturi che insaturi, quest’ultimi prevalgono sui primi. Tra gli acidi grassi insaturi presenti in maggior concentrazione troviamo l’acido oleico (omega 9) e acido linoleico (omega 6). 

Il tuorlo è anche ricco di colesterolo, un uovo medio ne contiene circa 200 mg, il 70% dell’apporto giornaliero raccomandato dai LARN (300 mg).

L’uovo è relativamente ricco di sali minerali come zolfo (derivato dagli amminoacidi delle proteine presenti), fosforo, ferro, sodio, potassio, cloro, calcio e magnesio.

Cos’è il colesterolo?

Il colesterolo fa parte di una categoria particolare di lipidi: gli steroidi. Riveste un ruolo molto importante nel nostro organismo, è sia parte integrante della membrana cellulare, alla quale conferisce stabilità e permeabilità, sia precursore di ormoni di natura steroidea, come gli ormoni sessuali (testosterone, estrogeno e progesterone), ormoni corticosurrenali, importanti regolatori del metabolismo glucidico, dell’equilibrio idrico salino che funzionano anche da anti infiammatori. Anche la vitamina D e i sali biliari, necessari per l’assorbimento dei grassi, derivano da questa molecola.

Il colesterolo presente nell’organismo è prodotto per l’80% dal nostro organismo (natura endogena) e per il restante 20% deriva dall’alimentazione (natura esogena).

Il colesterolo essendo di natura lipidica non può circolare liberamente nel sangue, ma ha bisogno di essere trasportato da lipoproteine. Ecco perché il colesterolo si divide in frazione HDL (colesterolo buono)e frazione LDL (colesterolo cattivo).

Non sono tipi diversi di colesterolo, ma cambia il tipo di trasportatore, lipoproteina.

Quando viene dosato il colesterolo totale, esso tiene conto della frazione HDL, LDL e VLDL (ovvero un trasportatore che veicola colesterolo ma anche i trigliceridi).

Perché si parla di colesterolo buono HDL e colesterolo cattivo LDL?

LDL ha il compito di rilasciare colesterolo alle varie cellule 

HDL invece, ha funzione opposta, recupera il colesterolo in eccesso dalle pareti cellulare e lo trasporta al fegato. Ha il ruolo di spazzino.

Associazione tra Uova e colesterolo

Le uova per il loro modesto contenuto di colesterolo, sono sempre state considerate un alimento da mangiare con moderazione. Si riteneva che il consumo settimanale dovesse essere tra le 2-4 uova.

Come abbiamo già visto, la maggior parte della colesterolo è di natura endogena (autoprodotto). Un fegato sano è in grado di regolare la concentrazione ematica di colesterolo. Se vengono introdotti molti alimenti ricchi di colesterolo, il fegato produrrà meno colesterolo.

In seguito a diversi studi scientifici che negli anni si sono susseguiti, il ruolo del colesterolo alimentare, ossia quello assunto dagli alimenti, ha subito nel tempo molte variazioni riguardo l’implicazione sul profilo lipidico nel sangue. È stato verificato che non è tanto il colesterolo alimentare in sé a sbilanciare il profilo lipidico ematico, quanto piuttosto il consumo di grandi quantità di acidi grassi saturi e acidi grassi trans o idrogenati (merendine, cibi spazzatura), di zuccheri semplici, scarso apporto di fibre e di acidi grassi essenziali (omega 3 e omega 6). Inoltre, anche un’insufficiente attività fisica influenza negativamente il profilo dei grassi e degli zuccheri ( glicemia) nel sangue.

Quindi Non è di per sé l’uovo a far aumentare il colesterolo, ma tutto il contorno. In un contesto di dieta bilanciata, l’uovo non va evitato.

In uno studio recente è stato visto che il consumo di un uovo al giorno, non varia sostanzialmente il rischio cardiovascolare, infarto e ictus, né negli uomini, né nelle donne sane.

Quali sono i benefici dell’uovo?

  • Contengono nutrienti essenziali per l’organismo. Come già detto, presentano proteine ad alto valore biologico, quindi ricchi di aminoacidi essenziali.
  • E’ presente lecitina (categoria di lipide), implicata in diversi processi metabolici, componente delle membrane cellulari, soprattutto quelle del tessuto nervoso. Inoltre, impedisce che il colesterolo si depositi nelle arterie, riducendo così la frazione LDL. Rafforza anche l’azione antiossidante di alcune vitamine, tra cui la vitamina A (presente nell’uovo) e la E.
  • Contiene alte concentrazione di Vitamina A, luteina e la zeaxantina. Questi ultime sono due carotenoidi abbondanti nel tuorlo (a cui danno il caratteristico colore giallo/arancio), importanti per la salute dell’occhio.
  • Ricco di Vitamine del gruppo B, fondamentali per le difese dell’organismo, per la salute dei capelli, peli e sistema nervoso. 
  • Fornisce Vitamina D nella forma già metabolicamente attiva
  • È presente colina, componente essenziale per il neurotrasmettitore che permette il passaggio dell’impulso nervoso, ma svolge anche una funzione protettiva nei confronti del fegato, impedendo l’accumulo di grassi.

Consigli: come cuocere le uova?

Per quello appena detto, diviene importante come cucinare le uova e quali ingredienti utilizzare come contorno, in quanto è il contesto a influire sulla quantità di grassi circolanti nel sangue. 

È consigliabile mangiarle sode o alla coque. Se si sceglie di farle strapazzate è meglio non aggiungere burro e usare l’olio extra vergine d’oliva con moderazione.
Il mio consiglio personale è quello di mangiarle come omelette o frittata aggiungendo magari verdure, per esempio frittata di zucchine, spinaci etc.

pescheria

Qualità Nutrizionali Del Pesce Selvatico e di Allevamento: Quale scegliere?

Come Conoscere i due prodotti al banco pescheria?

La Normativa Europea prevede che il consumatore abbia il diritto di avere informazioni ben precise su ciò che gli viene offerto.

In etichetta, quindi, devono essere sempre indicati la denominazione della specie, la zona di produzione e il metodo, cioè se è stato pescato o  allevato.

Se le indicazioni in etichetta non sono complete oppure non ci fidiamo, è possibile riconoscerli dall’aspetto del pesce stesso.

Primo aspetto da osservare è la Dimensione. I pesci d’allevamento risultano pressoché di dimensioni tutti uguali. Inoltre, sono più grossi di quelli selvatici, a causa dello scarso movimento che non gli permette di sviluppare una muscolatura adeguata per la taglia ed anche per i mangimi usati in allevamento.

Possono essere presenti Irregolarità. Spesso i pesci d’allevamento hanno le code sfibrate o rotte e le squame consumate, per il fatto che sono costretti a vivere in vasche sovraffollate.

Una volta cotto il pesce, è possibile osservare la Tonicità e la Consistenza delle carni. Le carni dei pesci d’allevamento non sono molto compatte  e si sfaldano facilmente.

Ultimo aspetto è il Prezzo esposto. Un pesce d’allevamento è sempre più economico di uno pescato in mare.

I Pro e i Contro del Pesce d’allevamento

Gli studi condotti sulle caratteristiche nutrizionali dei pesci d’allevamento evidenziamo problemi, ma anche vantaggi.

I problemi sono relativi alla quantità e qualità dei grassi, in genere superiori e diversa rispetto a quello selvatico. Nell’allevamento, vengono utilizzati mangimi a base di farina e oli vegetali, in modo da rendere i pesci più grossi in breve tempo. Dunque, i pesci d’allevamento saranno più grossi di dimensione, ma allo stesso tempo più grassi.

Il contenuto e la qualità dei grassi dipende sostanzialmente dal mangime utilizzato. Generalmente i pesci d’allevamento sono più scarsi di omega 3 (EPA e DHA), importanti protettori per le patologie cardiovascolari, ma con valori più elevati di omega 6, precursori di molecole infiammatorie, se consideriamo la quantità totale di grassi.

Anche se i pesci d’allevamento sono più grassi, è da tener presente che il contenuto di grassi totali sarà sempre inferiore al fabbisogno lipidico giornaliero richiesto in una dieta bilanciata.

Un Pro è il fatto che il contenuto di lipidi, quindi anche di omega 3, è costante nei pesci di allevamento, rispetto a quelli selvatici che si nutrono solo di ciò che trovano.

Un ulteriore vantaggio dei pesci d’allevamento riguarda la sicurezza alimentare, infatti è più facile monitorare la presenza di eventuali metalli pesanti e altri contaminanti tossici introdotti dal pesce con la dieta.

Per quanto riguarda il contenuto di Sali minerali quali Fosforo, Calcio, Ferro, Zinco e Iodio dipende anch’esso dall’alimentazione dell’animale, ma anche da fattori intrinseci del pesce stesso. Nel pesce d’allevamento il contenuto sarà determinato principalmente dal mangime artificiale, generalmente addizionato in Sali, in quanto indispensabili per l’accrescimento e per ottenere buoni indici di qualità. Nel pesce selvatico la quantità di minerali dipendente dalla biodisponibilità in acqua.

In conclusione, in condizioni di allevamento adeguate, è stata osservata un’equiparazione in termini nutrizionali e salutistici tra pesce allevato e selvatico.

I prodotto di acquacoltura possono rappresentare una valida alternativa ai pesci selvatici, purché i mangimi e gli impianti di allevamento siano fattori determinati per la qualità del prodotto.